Dopo aver aperto con Hanif Kureishi, lo ScrittuRa Festival ha ospitato venerdì 26 maggio Mauro Corona, il secondo dei quattro autori di narrativa che parteciperanno alla manifestazione; per la giornata di sabato sono infatti previsti gli incontri con Silvia Avallone e Stefano Benni.
Corona, scrittore e alpinista italiano con più di 5 milioni di copie vendute dal 1997, ha tenuto una conferenza in piazza Unità d’Italia, accompagnato sul palco da Matteo Cavezzali e Livia Santini. L’incontro avrebbe dovuto configurarsi come una discussione sul nuovo libro, “La Via del Sole”, magari arricchita da aneddoti e curiosità sulla sua genesi e sul resto della sua opera. Invece Corona, appena arrivato, ha chiarito subito di voler parlare di altro: “della vita, della morte, di noi”, poiché “un libro si descrive già da solo”.
Questo tipo di esordio, insieme al look ormai caratteristico (folta barba e lunghi capelli cinti da una bandana) è stato il preludio ad una serata in cui l’autore, sviscerando avvenimenti e aneddoti della sua vita, e perdendosi in citazioni di grandi classici della letteratura, ha condiviso la sua visione del mondo, della società e dell’uomo all’interno di essa. A metà fra un’esposizione di temi filosofici e uno spettacolo di cabaret, l’incontro ha messo in mostra lo sferzante umorismo e la sfacciata spontaneità che Corona ha sempre dimostrato di possedere.
Attraverso frasi ed esortazioni epigrammatiche simili a sententiae latine, gettate sul pubblico con forza e convinzione, Corona è riuscito a coinvolgere gran parte della platea, portata più volte dal riso a crepapelle alla commozione, agli applausi scroscianti. Folto anche il repertorio di citazioni, da Macedonio Fernandez, maestro di Borges, a Dante, alle ultime parole di Fernando Pessoa.
La prima domanda, a cui l’autore ha risposto all’interno di un lungo monologo, riguardava la funzione della letteratura e il suo ruolo nella vita dell’autore.
Quella per la letteratura è una passione trasmessagli dalla madre, fuggita di casa quando Mauro era un ragazzo per scampare al padre alcolista. Proprio questa passione, ha confidato ironicamente lo scrittore, lo ha salvato dall’autodistruzione o da un futuro da pluriomicida. Ecco la prima funzione salvifica della scrittura: evadere dall’incubo quotidiano, dimenticare l’inferno della vita per vivere altre avventure, o riversare parte del proprio inferno su un foglio di carta. La scrittura salva anche qualcos’altro, soprattutto nell’interpretazione di Corona, e cioè la memoria dei tempi passati, la cultura, le tradizioni, gli usi che andrebbero persi. Questa funzione eternatrice della scrittura ha però un senso diverso da quella foscoliana, votata all’utilità politica e civile; esalta infatti la vita semplice e gli usi tradizionali della piccola gente di montagna, trasmessagli fin da piccolo dalla sua famiglia.
La scrittura intesa nel suo aspetto più commerciale è entrata nella vita di Mauro Corona nel 1997, quando un amico giornalista ha deciso di pubblicare i racconti che l’allora alpinista e scultore scriveva in bottega per i suoi figli.
Se la passione per la letteratura è un’eredità del rapporto con la madre, l’amore sconfinato per la natura e la montagna viene dal padre e dalle lunghe scarpinate con il figlio sulle montagne intorno a Erto.IMG_6546
Ed ecco che inaspettatamente, analizzando il rapporto uomo-natura, Corona concede un approfondimento sul suo nuovo romanzo “La Via del Sole”, in cui un uomo è disposto a disboscare e ad abbattere un’intera montagna per poter ricevere il sole per più tempo dalla sua casa, dietro le alture. Il libro è una chiara e pesante metafora dell’avidità umana che sta trasformando e distruggendo il rapporto con la natura, considerata paradiso e culla dell’umanità. Con la consueta sincerità e sfacciataggine nel dire le cose più scomode, Corona si scaglia dunque contro quella classe di uomini facoltosi che antepongono l’interesse economico a qualsiasi altra cosa, rovinando un mondo che non appartiene loro.
Ne critica inoltre l’arroganza e la stupidità, per il fatto di non prendersi un po’ di tempo per se se stessi se non quando è troppo tardi, presi dalla loro frenetica attività e impegnati a ostentare le loro ricchezze e proprietà.
Questo risulta essere uno degli aspetti del generale pessimismo di Corona nei confronti della società e dei rapporti umani. L’ipocrisia dilagante, la paura del diverso, la mancanza di solidarietà e il bisogno ossessivo della tecnologia sono individuate come allo stesso tempo cause ed effetti della deriva della politica e dei rapporti umani. A questi viene contrapposta l’esaltazione dell’autenticità totale, sia per quanto riguarda i legami interpersonali, in cui l’ipocrisia è una costante, sia nell’aiuto verso il prossimo, che deve essere concreto e non teorico, sia nel rapporto con la natura, che è necessario ripristinare e conservare.
Il neologismo creato da Corona per indicare il disagio che lo attanaglia nel contemplare la società e il mondo è “malinchetudine”, un misto di malinconia e solitudine, di estraneità dal mondo e dai sette miliardi di persone che lo popolano.
Questo risponde anche alla domanda di uno spettatore sul perché, da uomo innamorato della vita vera e della compagnia davanti a un bicchiere di vino, Mauro Corona viva da solo nel paese natale di Erto. Le persone non sono “stampini” che si incastrano perfettamente e spesso, nonostante la sincerità e l’impegno, i rapporti si logorano e svaniscono. Ed ecco allora che montagna e scrittura si intrecciano di nuovo, nella sua vita come nei libri, per colmare questo vuoto e rasserenare l’anima, diventando i capisaldi attraverso cui si snoda la vita dell’autore.

Eugenio CasadioIMG_6542

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